La J sicunnu Piccitto

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Le semivocali — Cominciamo il nostro esame delle consonanti dalle cosiddette semivocali. Per intenderci chiamiamo " semivocali „ quei suoni che partecipano della natura delle due vocali estreme, i ed ii, ma sono anche usati in unione ad altri suonivocalici quasi in funzione di consonanti.

 


L'ortografia siciliana recente ha usato e usa per la semivocale palatale il segno j, mentre per il corrispondente suono velare si limita a scrivere, come per la vocale, u. La simpatia per questa j sembra essere molto grande fra i nostri vocabolaristi e fra quanti si sono occupati del dialetto. I comuni vocabolarii distinguono addirittura una serie di voci iniziantisi per i, da una pretesa serie di voci iniziantisi per j ; il Macaluso che pure tra gli autori di lessici e` quello che ha avuto orecchio piu sensibile per la realta` del suono, non solo adotta questa j , ma cerca di difendere addirittura polemicamente questo particolare ortografico, sforzandosi invano di dimostrare che il suono di j siciliana sia diverso da quello di i , anche se " cio` non appare „ (sono sue parole, pag. 155  SEBASTIANO MACALUSO STORACI, « Nuovo Vocabolario siciliano », Siracusa, 1875).

 

La semivocale palatale.-

La sua dimostrazione e` puerile, ed e` cagionata dalla impreparazione filologica per cui, pur avvertendo il fenomeno che noi definiamo di raddoppiamento sintattico, di cui diremo pin avanti, non ne conosceva la natura e non sapeva spiegarselo. Non mi indugio qui a confutarlo, perche` egli si e brillantemente confutato da se, scrivendo:  " Cosi tanto vale Jiritu, Jornu quanto Iritu, Iornu„. Dobbiamo essergli molto grati di questa esplicita dichiarazione: non si capisce infatti perche` sia necessario scrivere Jiritu quando si possa piu semplicemente scrivere Iritu, e quando dal1'uno all'altro modo di scrivere non passa differenza alcuna nella pronunzia.

Faccio solo osservare che per allontanarsi una volta tanto dalla comune norma ortograflca italiana, si poteva scegliere un'occasione piu` opportuna e piu` utile di questa. Questo segno j infatti e del tutto inutile, poiche` il suono che esso vorrebbe rappresentare non e` un suono effettivamente diverso da qnello della i : e solo la pronunzia che, spontaneamente, la i assume davanti ad altra vocale. Avviene in queslo caso qualche cosa di simile a quanto si verifica per la nasale n, per la quale 1'osservazione e` piu` facile e la prova piu` evidente : pronunziando ad es. "manca„ ,

la n assume un suo speciale suono velare dovuto alla vicinanza della velare ca, diverso dal suono della nasale semplice ad es. in "vieni„ , e diverso ancora dal suono della n vicino alla palatale ci ad es. in "vinci„ ; tuttavia noi scriviamo sempre n, e in fonetica siamo soliti dire che tale n e omorgana, si adatta cioe` nella pronunzia alla natura del suono contiguo, e tale adattamento e spontaneo e quasi necessario, essendo se non completamente impossibile almeno oltremodo difficile in quelle posizioni pronunziare la n in modo diverso. Lo stesso si verifica per la i davanti a vocale. La pronunzia di ia per noi non e` diversa da quella di ja; quindi il segno j e` inutile.

 

Storia del segno j

 

31. – E come il segno j non ha fondamento nella natura del suono, cosi e anche destituito di autorita` nella piu` antica tradizione del dialetto. Lo Scobar (Lncius Chirst. SCOBAR, op. cit.) lo ignora nel prologo e nella parte latina-siciliana-spagnola; nella parte siciliana-latina abbiamo solo in alcuni casi della serie ia– e nella serie ii– grafie come Ya– e Yi-, evidentemente spagnoljzzanti. Del resto y non e j, e inoltre non si trova mai un sol caso di ie-, io-, iu– che sia scritto diversamente di cosi.

L'Arezzo nelle sue " Osservantii „ (« Osservantii di la lingua siciliana, et canzoni in lo proprio idioma », di MARIO Di AREZZO, Gintil 'homo Saragusano. M. D. XXXXIII, riedito dal Grassi Privitera) ignora del tuttola j e la y. Negli stessi lirici del Seicento la j appare raramente e saltuariamente, soprattutto nelle finali in –ii come ad es. grazij, strazij, dove ha un valore assai dubbio, mentre non si contano i casi di forme come haiu, gioia, iornu, staiu, iuntu, ielu, iocu, ecc. Solo nel Settecento troviamo piu` o meno fissata questa j, usata del resto in modo diverso che ad es. nei lirici del Seicento. Questa j quindi non risponde a vere esigenze del suono; e priva di un'antica e uniforme tradizione storica; e una stonatura nel sistema ortografico del siciliano.

Con 1'adottare un simile segno si e` inoltre introdotta nell'ortografia un'incoerenza. La sua natura non differisce da quella di u ad es. in it. "uomo„ , sic. (ad es. notinese) uomu o uominu. I moderni sistemi di trascrizione fonetica che si servono del segno j, adottano in questo caso il segno w; infatti non c'e ragione per cui si debba fare una parzialita` per j, facendo un torto a w. L'uso di j quindi non aggiunge nulla al1'esattezza e pregiudica la coerenza e la semplicita.

 

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Incoiwenienti del segno j              

 

Tale segno infatti ha finito con 1'ingenerare una dannosa confusione. Per Ie tipiche assimilazioni siciliane la semivocale palatale si e fusa di solito con 1'attigua vocale palatale in modo che in effetti si sente solo il suono della vocale. Nessuna differenza di suono esiste tra iumenta o imenta da "giumenta „ , o itu o iditu da "gidito (metatesi di digito) e iu o iddu, malgrado che nel primo caso la i abbia assorbito la semivocale rappresentante la riduzione di g, e nel secondo la i sia etimologica. La conseguenza e` stata che, avendo voluto scrivere jimenta e jiditu per il ricordo etimologico della g, data 1'identita` del suono, si e` finito poi con lo scrivere questa j in casi in cui essa e un vero sproposito etimologico oltre che un arbitrio fonetico e un'incoerenza ortografica (ad es. in ju =" io „).  Questo dimostra che il segno j non trae la sua ragione di essere da una differenza di suono, ma e una sovrastruttura etimologica, che, per colmo, si applica troppo spesso a sproposito.

 

32. – Un inconveniente non trascurabile che deriva dall'uso della  j e` costituito dalle false letture che ne conseguono. Trovando scritto jimenta o jiditu o jiri, si legge da tutti, non siciliani e siciliani, facendo sentire distintamente due i, con grave pregiudizio del ritmo e del metro.

Ne` si puo` pensare di scrivere jmenta o jri, perche` cosi si avrebbe una sillaba costituita da una sola consonante, e si cadrebbe nell'assurdo di rappresentare un segno parzialmente consonantico davanti ad altra consonante, dove esso e` ridotto a pura e semplice vocale; mentre poi si scriverebbe, come si scrive, con la sola vocale, dove esso e` invece semivocalico o semiconsonantico, ad es. nelle finali come mai, circai.

Infatti, adottando nell' ortografia il segno j, per coerenza bisognerebbe scriverlo sempre e dovunque, dove suoni la seinivocale o semiconsonante come si voglia chiamarla (Nella pratica 1'uso di j diviene poi del tutto arbitrario; basti vedere qualche esempio come jiri, jutu, jia a cui si oppongono i ja, i janu, iju dove la j basta che ci sia, e non importa dove sia; chiujri si oppone a chiujiri e a chiuiju, e fujiri si oppone a fuijanu; ma quando cujetu sta di fronte a cuetu, e si cueta di fronte a scujeta, non c'e piu` nulla da aggiungere, essendo lampanti gli impicci e 1'imbarazzo in cui I'uso di questa j pone chi abbia a scrivere in dialetto).

Ma non basta. Se noi adottiamo il segno j, ecco aggiungersi nuovi inconvenienti. Dovendo scrivere una forma come viju (e cosi criju, e simili) con la j, noi la rendiamo sempre e dovunque bisillaba, mentre in realta` puo` essere anche un monosillabo; ne avviene viceversa che, abolendo la j, una simile voce diventi sempre un monosillabo, perche bastera` scrivere viiu quando la pronunzia o il verso lo richiedono come bisillabo. Lo stesso dicasi per le parlate in cui l'assimilazione non si verifica, sentendosi effettivamente iimenta o iisterna, o dove, come in alcune parlate etnee, si adotta nell'effettiva pronunzia la distinzione ad es. tra cacciari == " scacciare „ e cacciiari == " andare a caccia „.

 

Ugualmente in iniziale, se si volesse per forza scrivere una j ad es. nelle voci del verbo iri = "andare „ , l'imperfetto non potrebbe essere se non jia (e mai ija, etimologicamente spropositato); e allora, o non si potrebbe mai elidere davanti a questa forma e una frase come " ci andava „ dovrebbe essere sempre e per forza cci jia, mentre nella pronunzia e nel verso si puo` avere benissimo 1'elisione cc'ia; oppure si dovrebbe avere 1'assurdo dell'elisione davanti a j scrivendo cc'jia: elidere cioe` davanti a elemento consonantico, traendo ongine la distinzione tra i ed j appunto dalla pretesa sua natura consonantica.

 

Inutilita` del segno j

 

E parallelamente al caso precedente non si dica che, abolendo la j, in quella frase si dovra` contare solo e sempre come una sola sillaba. Abbiarno detto sopra parlando dell'apostrofo (v.  25) che 1'elisione davanti a i– iniziale si fara` solo quando sia graficamente segnata dall'apostrofo, mentre negli altri casi, come ad es. in questo, sara` mantenuto 1'iato. Tradizione questa gia` antica e avvalorata dall'uso, tanto che i lirici siciliani del Seicento ad es. non ebbero questa preoccu-

pazione ne` si lasciarono influenzare da questo timore, e per essi una frase come " Sti pochi iorna „ conta come cinque sillabe: nell'incontro cioe` delle due i 1'iato e mantenuto senz'altro e si conta per due sillabe. Del resto se i nostri poeti vogliono essere piu esatti e scrupolosi, nel caso in cui si voglia mantenere 1'iato per esigenze di metro o di ritmo, quando cioe` in cci ia si deva, come si puo`, contare per due sillabe, si potra` adottare la dieresi, il cui ufficio e appunto quello di segnare 1'iato; dieresi che io porrei sulla vocale finale che nell' incontro non deve essere elisa. Chi sarebbe tentato di scandalizzarsi di questa dieresi posta contro ogni tradizione non nel corpo, ma in fine di parola, anzi a cavallo tra due parole, aspetti a farlo finche` non avra` letto quello che diciamo nella teoria dei nessi (cap. VI § 44-6), dimostrando che nessuna differenza passa tra la posizione interna di una stessa voce e la finale e iniziale di due voci strettamente unite nel periodo.

 

Dall'ortografia siciliana dovrebbe quindi essere interamente bandita questa j;  senza una tanta gemma della patria ortografia non si perdera` nulla in esattezza e si guadagnera` in coerenza, semplicita` e chiarezza, essendo d'inceppo la presenza di questo segno j divenuto esotico, estraneo all'ortografia italiana, e che richiama il francese; esso, rievocando il ricordo della pronunzia francese, minaccia di compromettere anche per questo verso la retta pronunzia siciliana, e per lo meno tiene in sospetto e in dubbio coloro che del siciliano non hanno diretta esperienza.

3 Cummintari pi “La J sicunnu Piccitto”

  1. Fonso Genchi

    Tutto il mio rispetto per il Piccitto. Ma sta vota la scafazzau!
    E’ proprio il fenomeno del raddoppiamento (in questo caso, meglio: rafforzamento) fonosintattico a rendere utile la presenza della “J”.
    Infatti se è vero che scrivere Jornu o Iornu al lettore non dà alcuna informazione diversa, scrivere “tri jorna” – con J – informa il lettore che si pronuncerà “trigghiorna” mentre “tri ìsuli” – proprio perché scritto con “i”, non si pronuncerà “trigghìsuli”, bensì “triìsuli”.
    Un’altra delle motivazioni che adduce il Piccitto sembra incomprensibile:
    “Dall’ortografia siciliana dovrebbe quindi essere interamente bandita questa j; senza una tanta gemma della patria ortografia non si perdera` nulla in esattezza e si guadagnera` in coerenza, semplicita` e chiarezza, essendo d’inceppo la presenza di questo segno j divenuto esotico, estraneo all’ortografia italiana”
    Non si capisce cosa c’entri l’ortografia italiana con quella siciliana…

  2. Non posso che essere d’accordo con cio che hai indicato.Anch’io sono senz’altro per mantenere la J nella nostra bella lingua ma reputo opportuno che si indichino anche i pareri contrari. Sempre bene sentire “tutte le campane”
    Un’altro argomento interessante è l’introduzione della lettera X che è sempre esistita e tuttora utilizzata nella toponomastica di alcuni paesi siciliani. Sarebbe bello veder rintrodotto con maggior forza tale lettera per i suoni “sch” o “c” sonora a inizio parola ma forse è ormai troppo tardi…

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