Magia, cunti e canti in un paesino dell’agrigentino

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Dal volume Chabuca cunti e canti di Salvatore Maurici

La cultura della nostra terra è un albero che affonda le sue radici nel mondo della civiltà contadina.


E’ una constatazione che si può fare nei vari campi in cui si articola e scorre il vivere quotidiano: quanti comportamenti riflettono, quasi trasmessi geneticamente, usi e costumi del mondo agro-pastorale; quante volte parlando si fa riferimento a vecchi proverbi contadini.

Tuttavia il mondo contadino a Sambuca, un paese che di agricoltura ha sempre vissuto, non ha trovato in nessuno dei tanti uomini che scrivono, che fanno cultura (ad eccezione di Gianbecchina nel campo della pittura) un cantore appassionato.

Una spiegazione è da ricercare nel fatto che nel nostro paese la civiltà contadina è stata sempre mortificata. A Sambuca vi è stata e vi è una supremazia della classe artigianale che ha fagocitato e fagocita tutto, mettendo in ombra tutte le altre attività, favorita in ciò anche da condizioni politiche.

La cultura contadina ha rischiato così, perché non scritta, di andare dispersa. E si tratta di una cultura di importanza fondamentale.

Coltivare la terra è cultura; anzi più che cultura. E’ un rito. E’ magia.

 

Si pensi al gesto della semina quando i semi vengono affidati alla madre terra; si pensi all’atto della mietitura che condensa un’atmosfera sacrale; si pensi al contadino con un occhio rivolto al cielo ed un altro alla terra.

Tanti gesti solenni che toccano accenti poetici.

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Tanti elementi che contengono un arcaico simbolismo trasmesso di generazione in generazione. Un mondo fantastico ricco di riti pagani, collegati alla religione  (si guardi al rapporto che il contadino ha con le fiamme che rappresentano la purificazione).

Un lavoro perciò altamente meritorio quello di Salvatore Maurici, che ha sentito la necessità, nel momento in cui il ritmo del progresso ha portato profonde modifiche nel mondo co9ntadino, di conservare alla nostra memoria storica i ricordi di tale mondo, destinato per certi versi a scomparire, per altri a cambiare profondamente. Un lavoro che è una piccola antologia che serve, per chi legge, a richiamare alla memoria con un argomento, cento argomenti diversi, con un proverbio tanti altri proverbi.

Un lavoro di ricerca  condotto con i vecchi, con i parenti, con gli amici alla ricerca di notizie diverse e disparate, che è stato poi, codificato secondo lo schema del Pitrè (di cui sono state riportate tutte le voci riguardanti sambuca), eliminando le cose comuni ad altri paesi.

Un lavoro che è un omaggio sincero e appassionato al mondo contadino di cui alcuni riti (la manciata, la bevuta, la danza,…) sono entrati nel costume della nostra società.

Maurici ha compiuto una lunga carrellata nel campo della cultura popolare sambucesi per fissarne sulla carta i capisaldi.

Una carrellata che spazia su “la parlata sammucara” , “li cosi di lu tempu” “i viddani e li picurara”; che parla di “li mastri”, di medicina popolare, di “la terra e di li strigli”, della magia, di usi e costumi; che cita “li cunti”, “li jochira” dell’infanzia, “li canti d’amuri”; che richiama le feste tradizionali, santi, cucina animali e piante, indovinelli e proverbi.

Un viaggio completo all’interno del mondo popolare contadino, di cui poco è trascurato. Questa è la caratteristica del lavoro di Salvatore Maurici, il cui unico difetto è quello di assommare tanti temi alcuni dei quali avrebbero meritato un trattamento monografico, e il cui pregio maggiore  è di riportare alla ribalta tanti ricordi che stavano cadendo nel buco nero dell’oblio. 

Franco La Barbera

 

 

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